Il cistocele o prolasso vescicale è una condizione medica della donna caratterizzata dalla discesa della vescica dalla sua sede naturale, verso la parete anteriore della vagina. Costituisce la forma di prolasso urogenitale più comune ed è, a tutti gli effetti, un’ernia: nello specifico, è l’erniazione della vescica all’interno della vagina. A volte la vescica può arrivare a sporgere nella vagina ed è associato a un indebolimento del tessuto di supporto presente fra i due organi.
In particolare, la vescica è un organo muscolare cavo, che serve ad accumulare l'urina prima della minzione, e si trova subito dietro all'osso pubico, davanti all'utero e al di sopra della vagina. Il cistocele si verifica, infatti, quando la fascia di tessuto connettivo che separa i due organi, denominata fascia vescico-vaginale, si lacera, consentendo alla vescica di scivolare all'interno della vagina.
Affinché tale scivolamento abbia luogo, devono presentarsi delle circostanze traumatologiche particolari, di una forza tale da indebolire il pavimento pelvico. Quest’ultimo è l'insieme di muscoli, legamenti e tessuto connettivo, posti alla base della cavità addominale, nella cosiddetta zona pelvica, che ricoprono la funzione fondamentale di sostenere e mantenere in sede l'uretra, la vescica, l'intestino, il retto e, nelle donne, l'utero.
Se il pavimento pelvico si indebolisce e non offre più lo stesso sostegno, possono comparire dei disturbi di natura diversa, sia fisica che sessuale.
Più frequentemente, si presenta come prolasso antero-apicale, ovvero un prolasso delle pareti vaginali, in cui il cistocele si accompagna anche al prolasso dell’utero (isterocele) e al prolasso della volta vaginale, nelle pazienti precedentemente sottoposte a isterectomia.
Il rischio di avere a che fare con questa condizione aumenta in caso di parto naturale, nelle donne sottoposte a isterectomia e con l'invecchiamento, soprattutto dopo la menopausa, quando i livelli degli ormoni che contribuiscono a rafforzare i muscoli pelvici diminuiscono. A volte entra in gioco anche la predisposizione genetica. Alcune donne, infatti, nascono con tessuti connettivi più deboli, una condizione che le rende più predisposte allo sviluppo di un cistocele.
Non sempre però all'alterazione anatomica corrisponde un sintomo, alcune pazienti affette da questo disturbo sono asintomatiche. Altre possono sviluppare una serie di numerosi sintomi, dal dolore pelvico al mancato svuotamento della vescica durante la minzione. Ma è utile ricordare che aldilà dei sintomi specifici, il disturbo principale da considerare è l’alterazione della qualità della vita delle pazienti.
Per la diagnosi corretta, si raccomanda una visita ginecologica.
Esistono diversi trattamenti terapeutici, la cui applicazione dipende dalla severità del cistocele. Se i casi meno gravi si risolvono con semplici esercizi di rinforzo muscolare, i casi più seri possono richiedere anche un'operazione chirurgica.
La possibilità che si verifichi un cistocele diviene più comune con l'età avanzata: circa un terzo delle donne ultracinquantenni ne sono affette, in misura variabile, e la condizione influisce spesso in modo molto negativo sulla qualità di vita della paziente. Proprio per questo la prevenzione, come sempre, è fondamentale.
Tipologie di cistocele
Esistono due tipi di cistocele. Il primo tipo è dovuto alla distensione. Si ritiene che questo tipo sia dovuto al sovradimensionamento della parete vaginale e che sia il più delle volte associato all'invecchiamento, alla menopausa e al parto vaginale. Il secondo tipo è invece correlato alla dislocazione, ovvero ad un distacco o allungamento anomalo del tessuto di supporto.
In base alla localizzazione, distinguiamo il prolasso della vescica:
- Apicale, nel terzo superiore della vagina;
- Mediale, nella vagina media;
Laterale, dovuto ad un difetto a carico del muscolo pelviperineale e relative strutture legamentose e fasciali.
Inoltre, il cistocele può presentarsi in forme più o meno gravi. Gli stadi possibili sono tre. In ordine crescente di gravità, essi sono:
- Cistocele di 1° grado, o lieve: solo una piccola porzione della vescica invade la vagina
- Cistocele di 2° grado, o moderato: la vescica raggiunge l’apertura della vagina
- Cistocele di 3° grado, o grave: la fascia vescico-vaginale è così lacerata, da permettere alla vescica di fuoriuscire dalla vagina.
Dal 1996 è disponibile uno strumento il POP-Q (Pelvic Organ Prolapse Quantification) che quantifica la discesa del cistocele nella vagina e fornisce una descrizione affidabile del supporto della parete vaginale anteriore, posteriore e apicale. Inoltre, fa ricorso all'imene come preciso punto di riferimento e fornisce delle misurazioni oggettive.
Il cistocele e il prolasso della vagina dovuto ad altre cause sono descritti facendo riferimento ai criteri del POP-Q e possono variare da un punteggio che prevede l'inclusione nello stadio 0 o I (buon supporto e nessuna discesa nella vagina) allo stadio IV (prolasso oltre l'imene). Il POP-Q è anche utilizzato per quantificare il movimento di altre strutture nel lume vaginale e l'entità della loro discesa.
Sono stati elaborati anche altri sistemi di classificazione e tra questi uno dei più usati è il sistema di stadiazione di Baden e Walker, noto anche come Half Way System, il quale prevede diverse classi:
- Grado 0: nessun prolasso
- Grado 1: a metà strada verso l'imene
- Grado 2: viene raggiunto l'imene
- Grado 3: cistocele, la vescica affonda abbastanza da raggiungere l'apertura della vagina
- Grado 4: la vescica si gonfia attraverso l'apertura della vagina.
La formazione del cistocele è associata a un progressivo indebolimento dei muscoli, dei legamenti e dei tessuti del pavimento pelvico, che mantengono non solo gli organi in sede nello scavo pelvico, ma anche i reciproci rapporti tra essi.
Nello specifico, un cistocele si verifica quando i muscoli, la fascia, i tendini e il tessuto connettivo tra la vescica e la vagina di una donna si indeboliscono o vanno incontro a distacco. Questo può essere dovuto all’invecchiamento o a traumi ripetuti a cui sono sottoposte le strutture del pavimento pelvico, determinando, nel tempo, un progressivo deterioramento, che culmina con la rottura delle strutture stesse.
Il tipo di cistocele che si può sviluppare può essere dovuto a diversi difetti nell'ancoraggio della parete vaginale:
- il difetto della linea mediana è un cistocele causato da una sovradistensione della parete vaginale;
- il difetto paravaginale è la separazione del tessuto connettivo vaginale all'arco tendineo della fascia pelvica;
- il difetto trasversale è quando la fascia pubo-cervicale si stacca dalla parte superiore (apice) della vagina.
Le lesioni muscolari sono state identificate in molte donne con cistocele, in quanto determinano un minor sostegno alla parete vaginale anteriore. Inoltre, è più probabile che queste lesioni si verifichino nelle donne che hanno partorito rispetto alle nullipare (donne che non hanno mai partorito): è possibile riscontrare un parziale prolasso pelvico nel 40-60% delle donne che hanno partorito.
Alcune donne con disturbi del tessuto connettivo sono predisposte allo sviluppo di distacco della parete vaginale anteriore. Fino a un terzo delle donne con sindrome di Marfan ha una storia di distacco della parete vaginale, e si è ipotizzata (ma non ancora dimostrata) una possibile relazione con i livelli di fibrillina-1. La sindrome di Ehlers-Danlos nelle donne è frequentemente associata al disturbo e sembra avere un tasso di ricorrenza di 3 su 4.
Numerosi fattori possono essere alla base dell’insorgenza del prolasso, agendo in maniera lenta e progressiva e sottoponendo le varie strutture di supporto a micro traumatismi cronici, sfiancandole.
I fattori di rischio per lo sviluppo di un cistocele sono:
Parti vaginali plurimi: questo è il fattore di rischio principale, il parto rappresenta un evento traumatico per le strutture pelviche (soprattutto per i parti di feti macrosomici, ossia più grandi della media), maggiore è il numero di parti, maggiore è il rischio che si sviluppi il prolasso. Dati statistici, infatti, indicano che le donne più a rischio sono quelle che hanno partorito più volte.
Fattori di rischio scatenanti possono esserlo anche le manovre del parto, in particolare se traumatiche e se condotte in donne non più giovanissime (sopra i 30 anni) in maggior misura se si sono verificate difficoltà nella fase espulsiva.
Età avanzata: poiché con l'invecchiamento fisiologicamente tutti i tessuti perdono collagene e si indeboliscono, il cistocele colpisce più frequentemente donne oltre i 50 anni, ma, talvolta, anche le giovani che non hanno partorito.
Con la menopausa, infatti, si registra una brusca caduta del tasso estrogenico e ciò causa un progressivo indebolimenti dei muscoli e delle strutture del pavimento pelvico.
Isterectomia (asportazione dell’utero): l’utero è un organo che contribuisce a mantenere la vescica nella sua sede, la sua asportazione in donne che si sono dovute sottoporre a questo intervento chirurgico potrebbe favorire un prolasso vescicale.
Predisposizione genetica: ci sono donne predisposte, dalla nascita, al cistocele. Esse nascono con una malattia del collagene (collagenopatia), che rende il pavimento pelvico più lasso e soggetto alle lacerazioni.
Sforzi fisici: se eccessivi e prolungati nel tempo possono sovraccaricare le strutture di supporto pelvico e indebolirle. Anche il sollevamento errato di oggetti pesanti o lavori che comportano una storia di sollevamento di carichi pesanti, o che prevedono di rimanere per molte ore in piedi, possono gravare eccessivamente sulle strutture pelviche.
Stipsi cronica: associata a sforzi evacuativi notevoli, può essere responsabile dell’aumento eccessivo della pressione addominale.
Sovrappeso e obesità: condizioni anch’esse responsabili di un aumento eccessivo della pressione addominale.
Patologie polmonari (enfisema, BPCO): la tosse cronica tipica delle malattie polmonari croniche determina un aumento della pressione addominale, favorendo il prolasso degli organi pelvici.
I sintomi legati al cistocele variano a seconda del grado di prolasso presente.
Cistoceli di 1° grado sono, molto spesso, asintomatici, tanto che le pazienti non sono consapevoli della loro condizione clinica. I primi sintomi si avvertono quando il cistocele è, almeno, di 2° grado. Non si tratta di disturbi pericolosi, ma condizionano la qualità della vita del paziente.
La paziente colpita da cistocele può lamentare sintomi come:
Sensazione di corpo estraneo in vagina: è il primo sintomo percepito. Questa sensazione può essere percepita come un senso di pressione a livello pelvico e vaginale, o come una palla che spinge in vagina, prevalentemente in seguito a colpi di tosse, sforzi, defecazione, stazione eretta o qualsiasi manovra che favorisca l’aumento della pressione addominale. Normalmente non causa dolore ma, talvolta, può comparire nel corso dei rapporti sessuali.
Protrusione di parte della vescica dall'apertura vaginale: è percepita come una massa soffice e talvolta sanguinante, che nei casi più gravi può fuoriuscire dalla vagina dando la sensazione di essere sedute su un uovo e che può rientrare quando ci si sdraia.
Residuo vescicale: sensazione di non aver svuotato completamente la vescica dopo la minzione, che si accompagna, a volte, a esitazione minzionale (difficoltà a iniziare una minzione di urina).
Infezioni ricorrenti delle vie urinarie: causate appunto dal mancato svuotamento della vescica.
Dispareunia: dolore durante i rapporti sessuali.
Incontinenza urinaria da sforzo e urgenza minzionale: accompagnate da perdite di urina dopo uno sforzo, un colpo di tosse o durante un rapporto sessuale.
Dolore: quando si fanno sforzi che aumentano la pressione addominale, come tossire alzarsi in piedi o sedersi.
Disturbi nella defecazione: con quadri che possono spaziare dalla stipsi cronica a una vera e propria sindrome da ostruita defecazione, caratterizzata da senso di defecazione incompleta, defecazione frazionata, senso di “tappo” ano-rettale con necessità, a volte, da parte della paziente di eseguire uno svuotamento manuale per favorire la defecazione.
Complicazioni
Il prolasso vescicale è una patologia cronica generalmente progressiva. Spesso il prolasso vescicale può associarsi anche ad altre circostanze patologiche, come il prolasso uterino o rettale, i quali possono essere a loro volta associati ad altri sintomi più marcati. Pertanto, è molto importante rivolgersi al medico quando compaiono uno o più di questi sintomi, e proseguire con una visita ginecologica, urologica o proctologica a seconda delle circostanze.
Tuttavia, il cistocele, e più in generale, il prolasso degli organi pelvici sono patologie assolutamente benigne. Non esistono, infatti, rapporti tra questa condizione e le patologie neoplastiche degli organi pelvici. Per tale ragione non esistono rischi di malattie gravi o incurabili.
Gravi possono essere, invece, le alterazioni della qualità di vita e, soprattutto, di relazione. Spesso le persone affette dal prolasso vescicale rinunciano ad una vita sociale o riducono al minimo i viaggi e gli spostamenti dal domicilio.
L’unico rischio reale in caso di cistocele sintomatico è il peggioramento dei sintomi e della manifestazione anatomica. Ovviamente più il cistocele è grande, più complessa è la terapia.
Nei casi di prolasso in stadio avanzato la diagnosi può essere molto semplice, basandosi solo sull’anamnesi ed esame obiettivo durante visita medica; nei casi più lievi, con sintomi meno manifesti o in previsione di un intervento chirurgico, invece, può essere necessario eseguire più esami di tipo strumentale.
Mediante l’anamnesi e l’esame obiettivo il medico specialista raccoglie informazioni utili sulla sintomatologia, fattori di rischio, storia clinica familiare ed effettua un esame pelvico mediante il quale è possibile osservare la presenza di parti della vescica che fuoriescono o si affacciano dalla vagina. È l'esame clinico necessario per capire se si tratta di cistocele o meno.
L’ispezione e la palpazione pelvica sono molto importanti sia in posizione eretta che in posizione supina, poiché in posizione distesa prolassi minimi possono essere misconosciuti. È altrettanto importante verificare la presenza di cistocele prima e dopo l’esecuzione di sforzi, per esempio un colpo di tosse, in quanto prolassi minimi possono mettersi in evidenza dopo l’aumento della pressione addominale.
Durante l’esame pelvico può, inoltre, venire richiesto alla paziente di effettuare una manovra di Valsalva per valutare l’eventuale perdita di urina. L'ecografia vescicale può essere utilizzata per valutare il cosiddetto ristagno post-minzionale (la quantità di urina che rimane in vescica dopo la minzione).
Per approfondimenti diagnostici o in previsione di un intervento chirurgico è possibile effettuare ulteriori esami strumentali:
Esame delle urine: solitamente abbinato ad altri esami, serve a valutare se c'è un'infezione in atto. Questo perché, come detto precedentemente, il mancato svuotamento della vescica può determinare delle infezioni a livello della vescica stessa.
Cistouretrografia minzionale: è un esame radiologico che prevede l’introduzione di un catetere in vescica per iniettarvi all’interno un mezzo di contrasto. Successivamente la paziente verrà invitata ad urinare, in modo da osservare, con i raggi X, come viene eliminato il mezzo di contrasto, al fine di individuare residui di urina nella vescica, la forma della vescica e alterazioni della dinamica emuntoria legati al prolasso. Si tratta di un esame moderatamente invasivo e la durata è variabile, da 15 minuti a qualche ora.
Cistomanometria: ha l’obiettivo di studiare il flusso urinario e le pressioni sviluppate all’interno della vescica durante la minzione, per individuare eventuali anomalie correlate al prolasso.
Cistoscopia: viene eseguito di rado per questa patologia. È un esame endoscopico che prevede l’introduzione di uno strumento (cistoscopio), attraverso l’uretra, per osservare in maniera diretta le pareti interne della vescica e dell’uretra.
Elettromiografia pelvica: viene eseguita raramente, per misurare l’attività contrattile dei muscoli pelvici tramite un elettrodo ad ago.
Uroflussimetria: è un test utile per la valutazione della funzionalità del tratto urinario che misura il volume minzionale, la velocità del flusso ed il tempo richiesto per effettuare la minzione. Si esegue urinando in uno speciale water collegato ad un apparecchio di registrazione e di elaborazione dei dati. Quando la minzione è terminata l'apparecchio stamperà un referto con tutti i valori del flusso insieme ad un grafico della minzione.
Risonanza magnetica della pelvi: di supporto agli altri esami sopracitati, consente di valutare un possibile coinvolgimento degli organi limitrofi (vagina, utero, retto, grande e piccolo intestino).
La possibilità che si verifichi un cistocele diviene più comune con l'età avanzata: circa un terzo delle donne (33%) di età superiore ai 50 anni ne sono affette, in misura variabile, e la condizione influisce spesso in modo molto negativo sulla qualità di vita della paziente. Anche donne giovani, o che non hanno partorito, non sono esenti da questa condizione.
Si prevede che con l'invecchiamento generale della popolazione la prevalenza di questo disturbo verrà ad aumentare in modo marcato nei prossimi anni.
Gli studi di prevalenza del cistocele (e più in generale del prolasso di organi pelvici) sono molto variabili e spesso discordanti, probabilmente a causa del fatto che molte donne affette da questo disturbo sono sostanzialmente asintomatiche.
In uno studio sul prolasso degli organi pelvici eseguito negli Stati Uniti nel 2008 eseguito su quasi 2000 donne, è stato evidenziato come il 2,9% delle intervistate aveva avuto un'esperienza di rigonfiamento o sensazione di qualche organo che stesse per cadere fuori dalla zona vaginale.
Il trattamento varia in base al grado di severità del prolasso vescicale. Negli stadi iniziali della patologia, essendo il cistocele quasi sempre asintomatico, è possibile che non venga indicato alcun trattamento, se non misure preventive volte a ridurre o eliminare i fattori di rischio per rallentarne la progressione. Se la situazione si aggrava, la paziente si deve sottoporre a delle cure. In questi casi, si opta, inizialmente, per una terapia non chirurgica di tipo conservativo. Tuttavia, in assenza di benefici terapeutici o per il verificarsi di un prolasso uterino, si rende necessaria la chirurgia.
La terapia conservativa comprende:
Riabilitazione del pavimento pelvico: si consiglia di praticare dei determinati esercizi per rafforzare la muscolatura del pavimento pelvico e quindi migliorare il supporto vaginale. Si tratta dei cosiddetti esercizi di Kegel che prevedono la contrazione ed il rilasciamento ripetuti dei muscoli del pavimento pelvico. La pratica costante può garantire alle pazienti ottimi risultati, compreso il riposizionamento della vescica nel suo compartimento naturale e sono molto efficaci anche nel controllare l’incontinenza urinaria eventualmente associata.
Biofeedback: si connette un sensore ai muscoli pelvici, che misura la loro attività, in modo che quando si eseguono gli esercizi pelvici, il medico può capire se i muscoli che devono essere rinforzati beneficiano di quel particolare esercizio.
Stimolazione elettrica funzionale: è utilizzata di rado, prevede l’uso di elettrodi stimolatori dei muscoli pelvici deputati ad aumentare la forza e la resistenza muscolare del pavimento pelvico. In base al sintomo vengono differenziati i tipi di corrente e i tempi di somministrazione.
Pessario vaginale: è un dispositivo removibile a forma di anello di gomma che viene introdotto in vagina permettendo il sostegno della vescica, impedendo che invada il compartimento sottostante, ed il ripristino della statica pelvica. È necessaria una corretta igiene intima e del pessario, il quale dovrà essere rimosso giornalmente e opportunamente lavato. È possibile che a seguito del loro utilizzo possano verificarsi delle complicazioni, quali il sanguinamento vaginale, dolore, infezione e stipsi.
Terapia a base di estrogeni: una riduzione della produzione di estrogeni, soprattutto durante la menopausa, indebolisce la muscolatura pelvica. L’assunzione di estrogeni migliora il trofismo dei genitali esterni e delle strutture pelviche di supporto. Si preferisce utilizzare estrogeni in forma topica (pomate), da applicare a livello vaginale con buoni risultati a livello locale e scarsi effetti collaterali.
Risulta utile ricordare che il pessario e la terapia a base di estrogeni si rendono necessari, quando il cistocele si presenta in forma moderata-grave, cioè di 2° e 3° grado. Si tratta di contromisure, adottate per alleviare i sintomi, che spesso sono temporanee, in attesa dell'operazione chirurgica. In questi frangenti, è raccomandata, comunque, la pratica degli esercizi di Kegel.
L’intervento chirurgico
Si ricorre alla terapia chirurgia, quando il cistocele è grave (in genere negli stadi superiori al secondo) e il dolore insopportabile, oppure in presenza di un prolasso uterino. In quest'ultimo caso, con una sola operazione si rimedia a entrambi i problemi.
Il trattamento chirurgico del cistocele dipende dalla causa del difetto e dal fatto che si verifichi nella parte superiore (apice), nella parte centrale o inferiore della parete vaginale anteriore; oltre che dal tipo di danno che si instaura tra le strutture di supporto e la parete vaginale.
La scelta del tipo di trattamento è anche correlata all'età della paziente, al desiderio di avere figli, alla gravità della menomazione, al desiderio di continuare i rapporti sessuali e deve tenere in conto altre malattie da cui può essere affetta la paziente.
Gli interventi sono deputati alla ricostituzione della fascia difettosa e, di conseguenza dell’anatomia originaria. L’obiettivo della chirurgia è quindi di ristabilire la normale anatomia pelvica.
L’intervento viene preferibilmente eseguito per via vaginale, oppure per via addominale laparotomica (con incisione chirurgica ampia) o laparoscopica (con incisione chirurgica minima), utilizzata più raramente, per le situazioni con anatomia particolarmente complessa.
Una delle procedure chirurgiche più comuni è la colporrafia, che consiste nella riparazione della parete vaginale attraverso l’esecuzione di un piegamento longitudinale del tessuto vaginale piegare longitudinalmente il tessuto vaginale e successivamente suturare il tessuto esistente tra la vagina e la vescica con il fine di rafforzarlo. Questo consente di creare un punto di resistenza più forte al tentativo di intrusione della parete vescicale. Più in generale, questa procedura rinforza gli strati di tessuto e così promuove il riposizionamento degli organi pelvici nella loro sede naturale, tra cui la vescica.
Talvolta il chirurgo utilizza una rete chirurgica con il fine di rafforzare la parete vaginale anteriore, che in alcuni casi può essere utilizzata per rinforzare la riparazione appena eseguita.
L'intervento può essere eseguito in anestesia generale o anche in anestesia locale ed epidurale e può essere sufficiente una degenza post-operatoria di poche ore. Nell’arco di sei settimane, la paziente solitamente recupera tutte le funzioni e può svolgere una vita normale. Inoltre, questa procedura ha un tasso di errore del 10-50%.
L'intervento oltre che con chirurgia tradizionale vaginale può essere eseguito per via laparoscopica. Tuttavia, in quest'ultimo caso la durata dell’intervento può variare da circa 90 minuti a oltre 3 ore. Per questo motivo nelle pazienti anziani con co-patologie (ad esempio problemi cardio-respiratori) in genere si preferisce la tecnica tradizionale vaginale, in quanto eseguire l'intervento per via laparoscopica, per circa 3 ore e in posizione di trendelemburg, comporterebbe un rischio anestesiologico decisamente più elevato.
Un’altra tipologia di procedura chirurgica è la sacrocolpopessi che consiste nell’ancorare l’utero e la vescica prolassati all’osso sacro attraverso l'impiego di una mesh (rete) che stabilizza la volta vaginale, cioè la porzione superiore della vagina. Questo intervento richiede un'anestesia generale.
La sacrocolpopessi è spesso scelta come trattamento per il cistocele, soprattutto se interventi precedenti non hanno avuto successo: il tasso di successo di questa procedura si aggira intorno al 90% con un minor rischio di recidiva.
Alcune donne, in genere donne anziane che scelgono di non volere più avere rapporti sessuali per via vaginale, scelgono di sottoporsi ad un intervento chirurgico che comporta la chiusura della vagina: questo intervento, chiamato colpocleisi, tratta il cistocele attraverso la chiusura dell'apertura vaginale.
Spesso il trattamento chirurgico viene preceduto dalla somministrazione intravaginale di estrogeni, al fine di rafforzare il tessuto vaginale, fornendo così un risultato più efficace quando si deve ricorrere all'utilizzo di reticelle o punti di sutura per la riparazione.
Alla paziente incinta che soffre di cistocele ed è in attesa di intervento, si raccomanda di posticipare l'operazione a dopo la nascita del bambino. Nell’attesa, potrà utilizzare il pessario in caso di eccessivo dolore o di eccessivi disturbi urinari correlati, dopo accurato counselling con il proprio ginecologo.
La prognosi del cistocele dipende, chiaramente, dal grado di severità della patologia.
Come detto precedentemente, un cistocele di lieve entità che non si ripercuote sulla qualità della vita si cura senza ricorrere a terapie specifiche, ma solo con opportune misure preventive ed esercizi atti a rafforzare la muscolatura del pavimento pelvico.
Un discorso diverso va fatto, invece, per i casi di cistocele grave. In questi frangenti, le terapie conservative sono solo un rimedio temporaneo, prima dell'operazione; operazione, che, come tutti gli interventi chirurgici, non è priva di complicazioni. A distanza di anni, infatti, il cistocele può ripresentarsi.
Poiché il tasso di fallimento nella riparazione dei cistoceli rimane elevato, talvolta può essere necessario un ulteriore intervento chirurgico: le donne che necessitano di un intervento chirurgico di riparazione di un cistocele hanno il 17% di possibilità di aver bisogno di un'altra operazione nell'arco dei successivi dieci anni.
La prognosi, quindi, dipende dal decorso post-operatorio.
Dopo un intervento chirurgico di correzione di cistocele, la paziente deve essere istruita a limitare le sue attività fisiche e monitorarsi periodicamente alla ricerca di eventuali segni di infezione, ad esempio una temperatura corporea elevata, perdite vaginali dall'odore sgradevole, dolore addominale/pelvico ricorrente o costante.
I medici consigliano di evitare di starnutire o tossire eccessivamente e di intraprendere adeguate misure contro la stitichezza, per far sì che il processo di cicatrizzazione possa proseguire senza complicazioni. Una leggera pressione addominale quando si tossisce, ad esempio, fornisce supporto all'area sottoposta ad intervento e riduce il dolore associato alla tosse.
Tra le varie complicanze postchirurgiche è possibile annoverare:
- Effetti collaterali o reazioni all'anestesia
- Emorragia
- Infezione
- Rapporto sessuale doloroso
- Incontinenza urinaria
- Costipazione
- Lesioni della vescica
- Lesioni uretrali
- Infezione delle vie urinarie
- Erosione vaginale dovuta alla mesh (rete)
Si raccomanda di eseguire visite ginecologiche periodiche a partire dai 45 anni, anche se la patologia può comparire prima in caso di cistocele post-parto.
Per prevenire il cistocele è pertanto opportuno seguire alcune misure preventive:
- Pratica costante degli esercizi di Kegel, per il rinforzo del pavimento pelvico.
- Mantenere sane e adeguate abitudini intestinali con una dieta ricca di fibre.
- Evitare la stitichezza e sforzi di defecazione eccessivi.
- Evitare di sollevare pesi nel modo errato.
- Curare la tosse cronica, se presente, e non fumare.
- Perdere peso, se si è in sovrappeso.